Che cos’è la strumentazione scientifica e perché è importante tutelarla e restaurarla?

Il desiderio di indagare, conoscere e controllare il mondo naturale è sempre stato presente nella storia umana. L’Uomo, “animale che costruisce strumenti”, come affermava Benjamin Franklin, ha messo il suo genio nel dotarsi dei mezzi per affrontare questa impresa.

Giorgione, Il Fregio delle Arti Liberali e Meccaniche, XVI, sezione dedicata all’astrologia,
Castelfranco Veneto, Museo Casa Giorgione.

Gli strumenti che hanno caratterizzato l’evoluzione della conoscenza meritano di essere oggetto non solo di uno studio approfondito, ma di essere conservati e trasmessi in quanto testimonianze fondamentali dei mutamenti tecnologici, economici e sociali dell’Umanità. Questi oggetti ci raccontano storie di uomini, ricerche, esperienze, fallimenti e successi e rientrano a pieno titolo tra i beni culturali, intendendo per bene culturale ogni oggetto che conservi un valore estetico, storico, scientifico o spirituale.

Pertanto è strano che, a differenza dei beni culturali artistici e archeologici, la strumentazione scientifica abbia ricevuto così poca attenzione nel tempo, al punto che spesso è stata sottovalutata andando perduta. Gli strumenti storici, sebbene superati, continuano ad avere intatto il loro valore e costituiscono il punto di incontro fra teoria e pratica, tra storia, scienza e tecnologia, mettendo in evidenza l’impatto dello sviluppo scientifico sulla società.

Per questo la storia degli strumenti realizzati dall’uomo non può essere considerata testimonianza di minor valore rispetto alle sue creazioni artistiche. Non può essere cancellata dal punto di vista storico poiché possiede valore scientifico e altresì non può essere dimenticata dal punto di vista scientifico perché possiede valore storico. La tutela e la conservazione degli strumenti scientifici favorisce il recupero della dimensione non strettamente tecnica bensì culturale della scienza.

Uno sguardo attraverso la storia

Il termine “strumento scientifico” è estremamente vago e può sembrare anacronistico utilizzarlo in un contesto storico, ma lo si può usare in modo molto ampio per indicare tutti quegli oggetti tecnologici adoperati nella ricerca e nell’insegnamento delle scienze insieme a quelli tipici di professioni o attività in cui siano necessarie operazioni di misura, di calcolo, di osservazione o di controllo. L’utilizzo di strumenti che permettessero di facilitare o evitare il più possibile i calcoli e che consentissero di “vedere” e comprendere la natura, è sempre stato fondamentale per lo sviluppo della conoscenza.

Alcuni semplici strumenti scientifici erano usati sin dall’antichità, ma fu nel Medioevo che lo studio e l’insegnamento dell’astronomia portarono alla necessità di sviluppare sistemi più elaborati e complessi per semplificare le operazioni di calcolo e misurazione.

Lo strumento principe di questo momento storico, e forse il più noto, fu l’astrolabio, la cui origine risale probabilmente alla Grecia ellenistica, così come l’orologio solare. Il Rinascimento non portò vere innovazioni nel campo degli strumenti, anche se assai numerose furono le migliorie tecniche introdotte, ma risultò fondamentale come momento di passaggio da attività occasionale di studiosi o artigiani ad una fabbricazione quasi industriale. Al fianco di una produzione per uso comune se ne diffuse anche una più ricercata per soddisfare gli interessi di principi e mecenati che in questo periodo iniziarono a collezionare le meraviglie del mondo naturale e dell’invenzione umana.

A partire dal primo Cinquecento si svilupparono le Wunderkammern, “camere delle meraviglie”, e gli studioli di corte, nel centro Europa. Queste due tipologie collezionistiche nacquero in un ambiente di fruizione privata che rispecchiava gli interessi del suo proprietario. Fondamentale è la raccolta di Alberto V di Baviera, collezione “universale” per riprodurre il macrocosmo a cui si interessò il medico belga Samuel Quiccheberg, trattandola come teatro della memoria, sostenendo quanto fosse importante utilizzare dei sistemi di classificazione delle raccolte per migliorare le funzioni mnemoniche della mente. Quiccheberg fu per questo il precursore dello spirito enciclopedico che caratterizzerà la nascita dei primi musei scientifici nel XVII secolo. Un altro esempio di importante collezionismo cinquecentesco è quello di Ferrante Imperato, farmacista e naturalista italiano, che allestì una ricca collezione di Storia Naturale nella sua casa a Napoli.

Incisione di una delle sale contenenti la collezione di Ferrante Imperato.
(Dell’Historia Naturale – Napoli 1599)

Tra il XVI e il XVII secolo le Università erano luogo di insegnamento della tradizione aristotelica, ma le attività di ricerca scientifica venivano piuttosto svolte presso le corti e le accademie. Fu durante il Settecento che la scienza perse il suo carattere aulico per acquisire una diffusione e una divulgazione più ampia. Vennero pubblicati testi pregiati e ricchi di incisioni che illustravano gli strumenti scientifici e le loro tecniche di costruzione. Nel 1739 Giovanni Poleni, docente di astronomia, matematica e filosofia sperimentale all’Università di Padova, istituì il primo laboratorio di fisica sperimentale in Italia. Fu nell’Ottocento che si affermarono i veri e propri laboratori didattici e di ricerca all’interno delle Università. La fioritura di queste strutture incrementerà notevolmente l’acquisizione di apparecchi scientifici, divenuti ormai indispensabili per l’attività di ricerca e insegnamento.

Le collezioni universitarie sono state le prime ad essere riordinate, catalogate e restaurate dando vita, non senza difficoltà, ai musei di strumentazione di interesse storico scientifico.

E oggi?

Il patrimonio italiano, nel campo della strumentazione scientifica, è vasto e di grande valore. Esistono moltissime collezioni disseminate negli osservatori astronomici, nei laboratori scientifici delle scuole, dei licei, delle accademie e degli istituti universitari.

Da un punto di vista istituzionale, gli ultimi trent’anni hanno visto crescere l’interesse e l’impegno nei confronti della tutela del patrimonio scientifico italiano. Negli anni Ottanta è stato istituito il Gruppo Nazionale di Storia della Fisica (GNSF) all’interno del CNR, con il compito di promuovere e coordinare le ricerche in proposito. Negli anni Novanta il Ministero per la Ricerca Scientifica si impegnò con la Legge 113/1991 in seguito modificata dalla Legge 6/2000 per la tutela e la valorizzazione del patrimonio tecnico scientifico di interesse storico, con la «profonda convinzione che nel nostro Paese era necessario sostenere e far conoscere le istituzioni esistenti impegnate nella diffusione della cultura scientifica e tecnologica». Numerosi progetti sono stati finanziati all’interno di questa legge, ad esempio il Politecnico di Torino nel 2012 si è impegnato con il progetto “Cose di Scienza” nel censimento e nella catalogazione del patrimonio scientifico scolastico conservato presso le scuole secondarie dell’area metropolitana torinese.

Ma parliamo di restauro

Il restauro della strumentazione scientifica presenta molteplici complessità che lo rendono meritevole di una disciplina a sé stante. Dal punto di vista tecnico, la prima complessità che si incontra risiede nella natura polimaterica di questi oggetti: essi sono infatti costituiti da differenti materiali quali ad esempio ottone, ottone laccato, rame, ferro, ebanite, vetro, carta, cuoio, legno, avorio e, nel caso dell’oggetto di questa tesi, anche gesso e superfici policrome. La combinazione di queste differenti tipologie di materiali ne determina lo stato di conservazione e il restauro ha quindi la necessità di rispettarne le caratteristiche chimico-fisiche garantendo la compatibilità tra i materiali costitutivi.

Igrometro a dischi di carta. Seconda
metà del XVIII secolo, in ebano, ottone, carta e avorio.
Collezione Museo Galileo, Firenze.

Quando si parla di strumenti, diventa poi fondamentale considerare l’uso che ne è stato fatto nel tempo e che, inevitabilmente, ha inciso sullo stato di conservazione. E’ compito di chi interviene mantenere o ripristinare il funzionamento per il quale l’oggetto era stato pensato, creato e utilizzato. Al pari di uno strumento musicale, con il quale condivide difficoltà e complessità di intervento, uno strumento scientifico al quale il restauro non restituisse la capacità di funzionare, diverrebbe “muto”, e la sua voce, testimonianza del genio e della ricerca umana, sarebbe comunque perduta.


Questo articolo è un’estratto della mia tesi di Laurea magistrale in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali, scritta nel 2016 presso il Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale”. Tratta il restauro di un plastico polimaterico in gesso dipinto, raffigurante i differenti litotipi presenti all’interno del territorio di Napoli, appartenente alle collezioni del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Torino e conservato all’interno del Museo di Scienze Naturali di Torino. Per l’appunto si tratta di uno strumento scientifico didattico il cui valore, come strumento di immagine e diffusione della cultura geologica, non risiede solo nella profonda capacità tecnica coniugata alla attenzione scientifica con cui fu realizzato, ma anche in quanto testimonianza della volontà unificatrice e modernizzatrice della comunità scientifica nel periodo dell’Unità d’Italia.

Cossino M.; STUDIO E RESTAURO DI UN PLASTICO POLIMATERICO IN GESSO DIPINTO: IL “RILIEVO GEOLOGICO DELLA PROVINCIA DI NAPOLI E SUE ADIACENZE” DI DOMENICO LOCCHI; 2016

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